Come deve essere trattato il lavoratore dipendente che rifiuti di sottoporsi al vaccino anti covid?

A poco più di un anno dall’individuazione del paziente zero in Italia, la campagna vaccinale sta proseguendo a pieno ritmo anche nel nostro Paese. Dopo il turno degli operatori socio – sanitari, è ora giunto il momento degli over 80, per poi raggiungere, a scalare, le altre fasce di età.

Come ben noto, in Italia non c’è l’obbligo di vaccinarsi: secondo alcuni costituzionalisti, il vaccino potrebbe essere reso obbligatorio solo attraverso una legge approvata dal Parlamento. L’art. 32 Cost. infatti, prevede che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

La mancanza di una legge che, attualmente, imponga l’obbligo di vaccinarsi pone il problema consequenziale di come debbano essere trattati i soggetti che rifiutano il vaccino. Problema che, a ben vedere, appare ancora più sentito in ambiente lavorativo.

Si pensi, ad esempio, ad un lavoratore dipendente che rifiuti di sottoporsi al vaccino: cosa può fare il datore di lavoro?

In mancanza di una legge ad hoc, in linea anche con i principi costituzionali, nessun datore di lavoro potrebbe in Italia obbligare un dipendente alla vaccinazione anti covid. Ciò posto, l’azienda potrebbe, però, decidere di sospendere il lavoratore che rifiuta la somministrazione, senza diritto alla retribuzione. Si tratta di una scelta che appare giustificata dalla necessità di garantire la sicurezza nei confronti del resto del personale.

Il titolare dell’azienda potrebbe, poi, incentivare il lavoratore a vaccinarsi, prevedendo una serie di benefici (come ad esempio la previsione di premi).

Il dibattito relativo a come debbano essere trattati i dipendenti che rifiutino la vaccinazione anti covid è avvertito anche nel resto dei Pesi del Mondo: diverse, però, le soluzioni che possono essere adottate.

In alcuni Stati (Belgio, Irlanda, Polonia, Argentina, Messico), è del tutto esclusa la possibilità di licenziare il dipendente che si rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione.

In Brasile e in Austria, invece, il licenziamento è un’ipotesi contemplata.

Per altri paesi, invece, tra cui l’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Russia e gli Stati Uniti, il licenziamento è prevista quale misura da adottare in extrema ratio, qualora, cioè, non sia possibile adottare misure diverse capaci di tutelare allo stesso tempo il lavoratore che si rifiuta e la sicurezza degli altri lavoratori. Nello specifico, il datore di lavoro potrebbe adottare delle misure conservative quali, ad esempio, il mutamento di mansioni o lo smart working. Si tratta di misure che appaiono capaci di tutelare da un lato sia il lavoratore che sceglie di non vaccinarsi, sia la sicurezza degli altri dipendenti. Qualora, però, tali misure non appaiano possibili ovvero non risultino più essere in linea con le esigenze dell’azienda, il dipendente potrebbe essere considerato “temporaneamente inidoneo” a svolgere la mansione in sicurezza, non essendosi vaccinato. Pertanto, essendo ritenuto temporaneamente inidoneo, potrebbe finanche subire una sospensione dello stipendio.

Se, poi, la sua assenza dal lavoro potrebbe pregiudicare l’organizzazione aziendale (in quanto trattasi di assenza indeterminata nella sua durata, ad esempio), allora potrebbe essere ipotizzata anche l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In definitiva, dunque, in Italia non sembra prospettabile come prima ipotesi la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il dipendente che non si sottopone al vaccino. Ciò nonostante, qualora tale scelta si traduca ed integri la causa del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, allora appare possibile il licenziamento.

Vi è, infine, un ultimo punto rilevante da considerare, relativo alla protezione dei dati del lavoratore: può l’azienda chiedere direttamente ai dipendenti di confermare l’avvenuta vaccinazione e pretendere l’esibizione dell’apposito certificato?

La questione è stata affrontata anche dal Garante della Privacy, il quale ha precisato che il datore di lavoro non può chiedere direttamente ai dipendenti informazioni o documenti relativi all’avvenuta vaccinazione. Solamente il medico del lavoro, in sede di giudizio circa l’idoneità del dipendente alla mansione, potrà accertare se c’è stata o meno la vaccinazione.

In una prospettiva comparata ed internazionale, è bene segnalare come in altri Paesi le soluzioni adottate siano differenti. In particolare, in Paesi come il Brasile, la Germania e la Polonia, i dati relativi alla vaccinazione del dipendente possono essere utilizzati direttamente dal datore di lavoro. In altri Paesi, invece, come la Repubblica Ceca, la Russia e il Messico, tali dati possono essere trattati dal datore di lavoro solo in presenza di specifiche condizioni, come ad esempio il previo consenso del lavoratore.

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