Il viaggio di Eirene, la dea della Pace, nella letteratura classica
Dai tempi antichi ai nostri giorni la storia è stata disseminata da guerre per la supremazia di alcuni popoli su altri; la politica, nei momenti di crisi, lascia posto agli interventi armati per risolvere divergenze su questioni solitamente economiche. L’uomo ha fatto progressi nei più svariati ambiti ma sul fronte dei conflitti nessun cambiamento di prassi, con tragiche conseguenze sulle popolazioni che pagano per le scelte di chi le governa.
Secondo Tucidide la principale caratteristica della natura umana è l’accrescimento, la tendenza ad aumentare la propria potenza, che comporta necessariamente il desiderio di annientare il rivale e anche se oggi, come in altre epoche, è il termine “guerra” il termine forte che mette in ombra quello di “pace”, la stessa ha percorso tutta la storia dell’umanità; essa è sempre stata cantata e ricercata come condizione necessaria per l’animo umano.
La pace inizia il suo viaggio nei miti greci dove è personificata dalla dea Eirene. Essa era figlia di Zeus, dio che ha stabilito un nuovo ordine cosmico e di Themis, dea della Giustizia universale, che ebbe tre figlie: Eirene, la Pace, Eunomia, la dea della legalità e del buon governo e Dike, la giustizia morale che presiede alla legge degli uomini, quasi che le tre cose siano inscindibilmente legate.
Eirene è raffigurata con un ramoscello d’ulivo mentre tiene in braccio il piccolo Plutone, divinità della ricchezza e dell’abbondanza a conferma che ricchezza ed abbondanza si possono trovare solo in tempo di pace.
L’immagine che comunemente abbiamo dell’antichità classica è tutt’altro che pacifica: la guerra è stata elogiata da poeti che ne esaltano la forza, la bellezza e l’eroismo, era ritenuta far parte dell’ordine naturale. L’eroe deve compiere in battaglia azioni degne del suo nome con le quali possa acquistarsi gloria e tiene al proprio onore più che alla causa comune.
Ma molte sono le opere che parlano di pace. Spesso la nostra sensibilità può trovare quindi riscontro nelle parole di uomini e donne vissuti in secoli lontani, che hanno vissuto la guerra e hanno avuto il coraggio di condannarla nonostante la cultura dominante fosse rivolta all’esaltazione degli eroi e delle loro gesta eroiche.
- Omero, nell’ Iliade, poema epico per eccellenza, tramanda anche tuttavia con forza e compassione le ragioni dei vinti. Il poema epico, che sembra scritto dai vincitori, porta in realtà alla luce l’umanità dei Troiani. Come scrive Alessandro Baricco: “A prima vista non te ne accorgi, accecato dai bagliori delle armi e degli eroi. Ma poi, nella penombra della riflessione viene fuori un Iliade che non ti aspetti. Vorrei dire: il lato femminile dell’Iliade…Relegate ai margini del combattimento, le donne incarnano l’ipotesi ostinata e quasi clandestina di una civiltà alternativa, libera dal dovere della guerra. Sono convinte che si potrebbe vivere in un modo diverso, e lo dicono. Nel modo più chiaro lo dicono nel VI libro dell’Iliade. In un tempo sospeso, vuoto, rubato alla battaglia, Ettore entra in città e incontra tre donne: ed è come un viaggio nell’altra faccia del mondo. A ben vedere tutte e tre pronunciano una stessa supplica, una supplica di pace, ma ognuna lo fa in modo diverso. La madre Ecuba, la regina dei Troiani, lo invita a pregare. Elena lo invita al suo fianco, a riposarsi. E la moglie Andromaca, alla fine, gli chiede di essere padre e marito prima che eroe e combattente”. Andromaca dice infatti ad Ettore: “Non rendere orfano tuo figlio, non fare di tua moglie una vedova”. Al tripudio del trionfo del vincitore si contrappone sempre il compianto e la pietà per il vinto; il dolore ed il pianto per gli eroi caduti, accompagnano tutto il poema ed ogni lettore si trova portato a compiangere con Achille la morte di Patroclo, e con Priamo la morte di Ettore. Appare molto significativa la conclusione della grande epopea bellica con i solenni funerali di Ettore.
- Euripide ne “Le Troiane” fa ascoltare il grido di pace delle donne prese schiave dai Greci vittoriosi, andando incontro al loro destino in quanto parte del bottino di guerra con una dignità che sottolinea che i grandi eroi greci della guerra sono barbari spietati, protagonisti nel gioco senza senso della guerra, non capaci di accettare di limitare la loro sete di potere.
- Aristofane nella sua commedia “La Pace”, canta la pace in modo assoluto: la dea Eirene, dopo essere stata liberata dal contadino Trigeo dalla prigione in cui la teneva il Dio della guerra, rifiuta sacrifici in suo favore e trasforma le lance in pali per le viti e gli scudi in recipienti. La condanna della guerra ed il ripristino della pace fu l’obbiettivo principale, se non l’unico di questo autore civilmente e politicamente impegnato
- Menandro nella sua commedia “Lo Scudo”, fa recitare al servo Davo una lunga battuta che denuncia gli orrori della guerra. Egli racconta dei morti, sfigurati, tra i quali non è stato in grado di riconoscere il suo padrone; racconta dello scudo, che ogni soldato doveva conservare, simbolo di onore, e che assurdamente torna a casa senza il giovane che lo portava con sé. Un tragico resoconto che stride con la caratterizzazione del personaggio, uno schiavo, che come tale, per le regole della Commedia, era personaggio comico; diventa una sorta di clown triste che porta in scena gli orrori della guerra in Licia.
- Antigone di Sofocle che vuole dare sepoltura al fratello, contro i decreti regali che lo considerano un traditore è convinta che l’obbligo morale abbia la precedenza sull’obbligo civile. L’orrore della guerra è sullo sfondo, la denuncia dell’arroganza del re emerge potente: Antigone è simbolo di ribellione, di una volontà di giustizia portata avanti fino al sacrificio di se stessa.
- Per concludere il nostro viaggio nell’antica Grecia, non possiamo non richiamare un passo particolarmente significativo di Erodoto che nelle Storie, fa rispondere Creso ad una domanda di Ciro che gli chiedeva quale follia lo aveva spinto a muovere guerra a lui, il quale era considerato molto più potente da non permettere nessuna illusione circa l’esito del conflitto: “…di tutto questo il colpevole fu il dio dei Greci, che mi esortò alla guerra. Nessuno è così folle da preferire la guerra alla pace: in pace i figli seppelliscono i padri, in guerra invece i figli seppelliscono i padri…”
La presenza scomoda di questi letterati rappresenta una critica interna ai presupposti e alle pratiche della guerra che impregnavano l’ideologia della Grecia antica: la pace è vista da loro come situazione di normalità, contrapposta alla guerra, che è invece situazione in cui si ha un rovesciamento dell’ordine naturale.
In un mondo in cui la guerra era considerata una circostanza ben più normale della pace essi hanno avuto il coraggio di essere la voce fuori dal coro.
Non è facile in un momento come questo parlare di pace ma ricordiamo che ogni guerra, passata o presente, rappresenta la sconfitta dell’umanità, della diplomazia e della ragione.