RUBRICA – Detto tra noi…

Sarà sempre troppo tardi

pace

Chi lavora per arrivare alla pace, anche se perde, comunque trionfa; chi lo fa per continuare la guerra, anche se vince, comunque ha perso.

Un gioco di parole che diventa un assioma di significati. Da che mondo è mondo, una stretta di mano richiede il contributo di due persone, mentre per un pugno è sufficiente la sola volontà di uno di loro. Ma è anche vero che la stretta avvicina e il pugno allontana.

Più volte mi sono interrogato sui perché l’essere umano annienta i propri simili anziché conviverci serenamente. E sempre non sono riuscito a darmi una risposta plausibile o, per lo meno, giustificativa. A volte tale fenomeno si verifica per sopraffazione o per esaltazione etnica: mai per necessità o per sopravvivenza.

Se così non fosse andremmo a distorcere la teoria di Darwin sulla evoluzione della specie. Un po’ come fece il nazismo attraverso la considerazione della razza pura e l’opportunità di annientare tutti coloro che inquinavano tale specificità.

Lo fecero in primis con gli ebrei, ma anche con i Rom, con i polacchi, con i disabili, con gli afro-tedeschi, con i dissidenti politici, i Testimoni di Geova, gli omosessuali. Tutte persone cioè che non venivano considerate a “norma” sociale. Era l’esaltazione del conformismo ideologico, usato come alibi per acquietare la sete di conquista.

Ed anche su questo non c’è una terza via, ovvero, se si convive in un rigido contenitore, quando uno si allarga, l’altro è costretto a restringersi.

E’ la legge del più forte, ma non di chi ha ragione.

Per far poi la pace non si può richiedere a chi si è dovuto restringere di rimanere stretto; occorre far capire a chi si è allargato, di ritornare sui suoi passi. Tanti esempi abbiamo in queste settimane intorno a noi, come la Russia che ha invaso l’Ucraina. Diventa difficile arrivare alla fine della guerra dicendo ai due contendenti: fermiamoci e lasciamo le cose così come sono adesso. Perché dietro a quel “adesso”, c’è un atto di prepotenza, i cui frutti devono ritornare all’albero che li ha generati e non possono restare nelle mani di chi li ha rubati con la forza.

Ecco perché la pace passa per la strada dell’equità e non per il sentiero della disparità.                                                                                                             

Però, per percorrere la via della pace, non basta a volte la volontà di partire, ma necessita avere la convinzione di arrivare.

Lungo il sentiero della guerra, invece, tutto è più semplice: basta individuare un semplice pretesto.

Per spegnere un grande fuoco occorre tanta acqua, per accenderlo è sufficiente una scintilla. E numerose sono state le scintille scoccate  in questi ultimi mesi in giro per il mondo, non ultima quella della striscia di Ghaza. Ciò che sta avvenendo in quel martoriato lembo di terra è solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in un retroterra culturale e religioso che investe più popoli, rendendoci quotidiani i termini a loro legati, come: sunniti, sciiti, semitismo, sionismo e così via. Sono talmente comuni questi termini, che vengono spesso da noi assimilati anche se non sempre compresi e metabolizzati.

E pensare, per esempio, che i sunniti e gli sciiti, credono nello stesso Dio, che è Allah, e condividono lo stesso libro sacro, che è il Corano.

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Eppure si fanno la guerra!

Anche nel nome c’è una derivazione diversa e precisa. I Sunniti lo prendono dalla Sunna, ovvero il codice comportamentale della comunità di fedeli all’Islam. Gli Sciiti invece prendono nome dal loro Ali, cugino e genero di Maometto, credendo che sia lui il suo prescelto per la successione.  Tra i Sunniti sono gli Imam a guidare la preghiera; per gli Sciiti ci pensano gli Ayatollah

E’ facile quindi dedurre che la religione o, meglio ancora, la fede, qualunque essa sia, condiziona il credo e le azioni dei popoli. Più forte è la fede e la credenza, più difficile è il raggiungimento della pace in caso di guerra.

Avveniva anche al tempo dell’Impero romano, dove la intaccabile fede dei cristiani era il loro maggior punto di forza che poteva essere debellato soltanto attraverso il martirio. L’unica differenza, di non poco conto, è che il loro credere veniva professato per il bene e la convivenza e non per la sopraffazione. Guardando però il rovescio della medaglia, ci accorgiamo che,  in nome di quella stessa fede professata dai martiri cristiani, le alte sfere ecclesiastiche mandavano al patibolo e al rogo gli eretici.

Mastro Titta ne sa qualcosa!                                                                                  Tutto questo per convincere che occorre la guerra per raggiungere la pace. Anche in questi giorni assistiamo  alla materializzazione della violenza usata per far terminare la violenza, con le truppe israeliane che invadono la Striscia di Gaza per  annientare i terroristi di Hamas. E’ fuori discussione il fatto che Hamas abbia commesso per primo un’azione criminosa attraverso il sanguinoso raid in territorio ebreo, colpendo la popolazione innocente.  

E’ però anche vero che la risposta di Israele, pur se vista come sacrosanta reazione, va a colpire persone e, soprattutto bambini, che hanno solo la colpa di trovarsi in quel posto nel momento sbagliato.

Anche in questo caso la scintilla iniziale è stata sprigionata dalla fede dove, da una parte ci sono i Palestinesi, che rivendicano la loro egemonia sulla terra che occupano; dall’altra avanzano gli Israeliani che vantano quella terra perché promessa da Dio ad Abramo, vedendo come una missione la conquista di Sion, ovvero la collina di Gerusalemme, dove dovrebbe essere sepolto Davide.                   

La cornice di questo quadro d’insieme culturale e religioso è costituita però da dissidi, divisioni, bombe, ostaggi, terrorismo, morte, distruzione.                               

Non so se un Dio, qualunque esso sia, possa mai giustificare tutte queste bestialità. E non sono certo i militari al fronte a volere la guerra, ma i politici che strategicamente li comandano.

Detto fra noi, chissà se un giorno comprenderanno che la costruzione di qual cosa non può passare attraverso la sua preventiva distruzione.

E, quando lo faranno, sarà sempre troppo tardi.

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