RUBRICA – La risposta è nei libri

La luce e l’ombra della città in letteratura

C’era una volta un topo campagnolo che ebbe ospite nella sua umile tana, un topo di città; gli offrì le provviste migliori messe da parte ma il disgusto per i cibi toccati e mangiati era ben visibile sul volto dell’ospite.

Il topo di città convinse quello di campagna a trasferirsi con lui in città, nel benessere e nello sfarzo ma, entrati nelle mura e accingendosi a consumare un ricco pranzo in una lussuosa casa, furono interrotti dal latrato di alcuni cani che li costrinse a rifugiarsi in fretta e furia in una tana.

Il topo di campagna si rivolse quindi a quello di città dicendo:” Questa vita non fa per me, il mio bosco e la mia tana sicura dai pericoli mi compensano delle mie povere lenticchie!”.

Questa favola di Orazio è emblema della contrapposizione, mai sanata, tra ambiente campestre e la città.

Già nell’ Antica Grecia, il poeta Teocrito trascina i suoi lettori, i cittadini dell’Alessandria dei Tolomei (caratterizzata in quegli anni da un fenomeno di crescente urbanizzazione), in una dimensione lontana, onirica, caratterizzata da prati fioriti e campi soleggiati. Al pari, nel mondo latino, troviamo Virgilio con le sue Bucoliche, creatore del locus amoenus, un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, in cui i pastori diventano portavoci di un’età dell’oro.

Ma la visione della città in letteratura è una tematica ricorrente che può variare notevolmente in base all’opera, all’autore, al contesto storico e culturale e la prospettiva che l’autore vuole esplorare e che si presta ad essere sfondo per approfondire una vasta gamma di tematiche umane.

Il tratto negativo narrato dagli scrittori è soprattutto quello dell’alienazione e della solitudine; la città è vista come luogo in cui le persone si sentono spesso sole o isolate, nonostante la presenza di una grande popolazione. La frenesia e l’anonimato che le caratterizza possono portare infatti a un senso di estraneità e solitudine.

Al contrario la città può diventare spazio di opportunità e ambizione; spesso i personaggi vi si trasferiscono per cercare fortuna, realizzare i propri sogni o cercare una vita migliore.

Questa ambivalenza è ben visibile in due grandi scrittori italiani e nelle loro opere; Boccaccio e Pascoli.

Nel “Decameron” un gruppo di giovani nobili si rifugia in una villa di campagna per sfuggire alla peste che sta devastando la città di Firenze. Gran parte delle novelle che lo compongono sono ambientate in contesti rurali, e Boccaccio dipinge spesso la campagna come un luogo di pace, amore e libertà, in contrasto con la città che è spesso rappresentata come corrotta, immorale e pericolosa.

Boccaccio critica apertamente la società urbana del suo tempo attraverso le storie dei personaggi che vivono nella città. Nelle novelle spesso si incontrano figure come mercanti disonesti, preti corrotti e nobili viziosi che si comportano in modo immorale; questi ritratti della città riflettono la visione critica di Boccaccio nei confronti della società urbana.

Tuttavia lo scrittore non era completamente avverso alla stessa. Nel “Decameron” ci sono anche storie di amore e virtù che si svolgono in ambienti urbani, dimostrando che egli riconosceva che la città poteva offrire anche opportunità positive. Inoltre, il fatto che i giovani nobili si rifugino in campagna durante l’epidemia di peste indica che Boccaccio vedeva la campagna come un rifugio temporaneo, ma non necessariamente come un modo di vita ideale.

Da un lato quindi Boccaccio critica aspramente la corruzione e la depravazione presenti nella società urbana del suo tempo, ma dà anche spazio a storie di virtù e amore ambientate in città riflettendo le ambivalenze del suo periodo storico rispetto alla vita urbana e rurale.

Secoli dopo, Giovanni Pascoli tratterà della natura nella sua raccolta Myricae, il cui nome deriva proprio da un verso virgiliano e nella quale descrive la natura nelle varie stagioni. L’industrializzazione avviatasi proprio negli anni in cui scriveva Pascoli, ha portato all’inevitabile trasferimento in città di molte famiglie in cerca di lavoro. Nelle sue opere Pascoli spesso rappresenta la città come un luogo frenetico, in contrasto con la tranquillità della campagna. La città è vista come un ambiente caotico, in cui le persone si muovono in fretta e sembrano perse nella frenesia della vita urbana, luogo di alienazione e disorientamento, spesso rappresentata come un labirinto in cui le persone possono sentirsi perdute.

La visione di Giovanni Pascoli della città tende generalmente a essere critica e nostalgica, concentrandosi spesso sugli aspetti negativi della vita urbana e sulla sua alienazione rispetto al mondo rurale e alla natura. Tuttavia, è importante notare che può occasionalmente offrire alcune visioni più positive e ottimistiche. Nelle sue poesie è possibile trovare occasionali accenni alla città come luogo di opportunità e crescita; Genova viene descritta in termini lusinghieri, elogiando il porto come un luogo di incontro e scambio culturale, sottolineando il ruolo della città come centro di commercio e interazione umana.

L’ Europa nel corso dell’800 è protagonista di un’accelerazione dell’industrializzazione; la crescita delle città e le trasformazioni industriali hanno avuto un impatto significativo sulla vita delle persone, e questi cambiamenti si riflettono ampiamente nella letteratura dell’epoca.

I luoghi urbani ottocenteschi, caratterizzati dal fumo delle ceneri industriali, sono stati rappresentati in molte opere letterarie, basti pensare a Hard Times di Charles Dickens. Il concetto di città inteso in senso moderno nasce in quest’epoca, e proprio la città ottocentesca è il luogo in cui terminano le illusioni, in opposizione alla campagna: “…la città in letteratura diventa topos esistenziale, luogo della scoperta della complessità del mondo ed intreccio di narrazioni e finzioni, paesaggio interiore e mentale, spazio della modernità nelle sue tensioni e difficili conciliazioni tra individualità e collettività…”.

La natura e la campagna sono i luoghi della guarigione mentre la città risulta il suo opposto: luogo della perdizione tra le cui vie e proposte, l’uomo si può smarrire. Associata alla città vi è infatti spesso la figura del labirinto; esso è spesso accostato alla dimensione ed all’ esperienza urbana, con l’intrico di strade e di incroci che caratterizzano la città moderna. Labirinto non è quindi solo un groviglio di percorsi ma può essere anche una struttura organizzata

Nella letteratura moderna a prevalere è quindi il sentimento della nostalgia dei paesi incontaminati con conseguente denuncia sul degrado paesaggistico.

Ma non è necessario il confronto con ciò che sta fuori le mura o con la natura perché l’esperienza urbana riveli contraddizioni e sofferenze; in questo la città basta a se stessa. Il pensiero corre alle capitali di Balzac, di Hugo, di Zola o la Londra di Dickens e la Pietroburgo di Dostoevskij; non ritroviamo le immagini di semplici fondali che ospitano l’azione ma luoghi che pulsano di vita propria.

In Proust, Virginia Woolf, nella Vienna di Kraus, la Trieste di Svevo, la Dublino di Joyce, le città appaiono come scenari metafisici, sintesi allegoriche di una condizione frammentata e priva di centro dell’esistenza umana.

Per la narrativa dell’Ottocento, la città è il luogo in cui la concentrazione degli uomini, la convivenza degli stati sociali, la molteplicità dei comportamenti e dei linguaggi, le vie e le piazze, quasi metafore delle infinite vicende possibili, la rendono il teatro naturale dell’osservazione realista; essa stessa diventa racconto.

Calvino definiva “città-romanzo” la Parigi di uno dei grandi narratori dell’800, Balzac: in una delle sue opere la città compare nelle vesti della donna-mostro, una sorta di cortigiana che distende il proprio corpo in una rete di vicoli e strade, generatrici di incontri, sorprese. L’esperienza del soprannaturale non ha più bisogno del soprannaturale per aver luogo ma basta il quotidiano e l’inquietudine dell’ordinario cittadino a garantirla. Nella città tutto può accadere perché tutto è contemporaneamente presente: l’alto ed il basso, la luce e l’ombra, il bene ed il male.

Non vi è scrittore dell’800 che, ambientando la propria opera nella Città, non rappresenti la folla, con la forza del suo fluire senza sosta; la gente brulica nelle strade, privata di ogni socialità e preda di una solitudine senza rimedio. Il processo di urbanizzazione delle grandi capitali europee del 1800, il diffondersi di manifatture che oltrepassano la vecchia produzione artigianale, modificano la percezione della città da luogo protetto e raccolto nelle mura a spazio impersonale, luogo dello smarrimento di sé. I personaggi di Dickens, Balzac, Zola e Dostoevskij sperimentano il conflitto con se stessi quando, accettando la logica alienante della città, dove tutto si compra e vende, si ritrovano stranieri a se stessi.

Ne “Il nostro comune amico” di Dickens, la città è rappresentato come un organismo vivo, oggetto di un degrado crescente, dovuto allo sviluppo abnorme; la storia è però una storia di identità perdute e ruota intorno a due presenze simboliche, il fiume ed i rifiuti. Nel Tamigi, segno di fecondità e vita per la città che attraversa, galleggiano rifiuti e cadaveri. Le acque torbide del fiume, ritratte per lo più di notte e nella nebbia, diventano rappresentazione della malattia che avvolge Londra. Il Tamigi è il luogo in cui tendono tutti i protagonisti del racconto mentre la mappa dei loro spostamenti è un labirinto, reso ancora meno leggibile dall’ oscurità, destinati a ritrovarsi al punto di partenza.

Ma anche nella letteratura dell’800 nonostante la tendenza a esplorare le sfide sociali e le criticità delle città, è possibile trovare esempi di rappresentazioni positive delle città; essi spesso sottolineano le opportunità, la cultura e il progresso che le città potevano offrire.

Ne “I Miserabili” di Victor Hugo sebbene lo scrittore rappresenti aspetti negativi di Parigi, come la povertà e l’ingiustizia, la città stessa è raffigurata con amore e orgoglio; viene celebrata la sua grandezza e la sua storia, e la città diventa un simbolo di speranza e resilienza.

Pensiamo a “La Signora Dalloway” di Virginia Woolf, romanzo modernista ambientato nella Londra del XX secolo, noto per la sua profonda esplorazione della vita sociale e interiore dei personaggi. La città di Londra è un elemento centrale nel romanzo e Woolf la utilizza in modo significativo per esprimere temi come la percezione, la memoria e la connessione umana. Virginia Woolf usa la città per creare una ricca rappresentazione della vita sociale dell’epoca, con personaggi provenienti da diversi strati sociali che si incrociano lungo le strade della città ela stessa diventa un mezzo attraverso cui esplorare la memoria e i cambiamenti nel corso del tempo.

In conclusione le città hanno sempre esercitato un’attrazione irresistibile sugli scrittori che le hanno descritte, celebrate o criticato nei loro lavori letterari. La città è un luogo di contrasti, di opportunità e sfide. La letteratura ci permette di immergerci nelle sue rappresentazioni, di esplorarne i misteri e di riflettere sulla nostra stessa relazione con l’ambiente urbano. La città, nella sua immensa varietà, rimarrà per sempre uno dei luoghi più affascinanti e discussi della letteratura; con la sua complessità, i suoi strati e le sue contraddizioni, può riflettere e rappresentare l’animo umano in tutte le sue sfaccettature.

Esplorare la città diventa strumento per esplorare la complessità e la ricchezza dell’esperienza umana.

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